Il multinazionalismo latifondista alla conquista “dell'impero” alimentare globale.
di Paolo Pellicciari
Prendendo spunto dal mio ultimo articolo, pubblicato da Enopress, ho colto l'occasione per “salire” fino all'ultimo stadio della torre Eiffel, per avere una visione più ampia panoramica dei sistemi finanziari che regolano il comparto dell'agricoltura mondiale.
L'incalzare vertiginoso su scala mondiale del fenomeno latifondista, necessita di un'attenta valutazione politico-scientifica- finanziaria che merita considerazione.
Dall'analisi della Humboldt University of Berlin e Agripol, emerge che!
L’Europa è oggi uno dei più grandi importatori di beni agricoli dai Paesi Terzi. Ciò scaturisce da una serie di importanti decisioni politiche spesso concomitanti ed interconnesse tra le popolazioni e gli interessi finanziari.
L’economia agricola è stata in parte, al centro di cambiamenti che hanno inciso anche sull’agricoltura modificandone i sistemi produttivi e le scelte di investimento. Inoltre, l’allargamento dell’Unione europea, i negoziati della WTO (Organizzazione mondiale per il commercio), le riforme della Pac (Politica agricola comune) e la crescente richiesta di fonti energetiche rinnovabili hanno messo alla prova la capacità di ammortizzare gli effetti della globalizzazione alimentare.
Il multinazionalismo latifondista, in questo nuovo sistema produttivo, il plusvalore ottenuto dal mercato urbano attraverso il settore commerciale, le esportazioni, l’industria e la finanza sono investiti, in parte, nell’acquisto di grandi estensioni di territorio. Perciò i grandi istituti di credito come Bradesco, Itaù, Bamerindus (al tempo) Safra ecc. si trasformarono in proprietari di enormi estensioni territoriali, con 200, 300 mila ettari ciascuno. Anche settori industriali di punta alcuni risiedenti anche Europa diventarono proprietari di grandi estensione di terreni, al punto, che secondo i registri statistici dell’INCRA (An Internetional Non Profit ) le persone giuridiche, ovvero, sia le imprese - in particolare di origine straniera – risultano essere proprietari in Brasile di più di 30 milioni di ettari di terra. Così, oltre all’oligarchia rurale agro esportatrice di origine coloniale, ora appare allo scenario una borghesia agraria, grande proprietaria terriera, che mescola i propri interessi nell’agricoltura, nel commercio, nella finanza e nell’industria. In questa prospettiva il latifondismo industriale in Brasile non ha nessun interesse a realizzare la riforma agraria per sviluppare il mercato interno.
Mi domando: La produzione di cibo attraverso la ‘agricoltura globalizzata’, i pesticidi, le biotecnologie e l’ingegneria genetica non dovevano portarci entro breve alla soluzione del problema della fame? La realtà è molto diversa. Come si intende affrontare il problema? Il declassamento della dialettica politica spesso disarticolata e contorta tende a delegare alle "istituzioni internazionali" o internazionalizzare le problematiche legate all'agricoltura.
I “CONTROSENSI”
LA PRODUZIONE DI CIBO E’ IN AUMENTO, COME DI PARI PASSO AUMENTA LA FAME
Nel mondo occidentale i silos sono stracolmi, le celle frigorifere traboccano di quantità di carne e di burro, si produce "troppo" frumento e "troppo" latte, le mucche devono essere abbattute e la frutta mandata al macero, vedi Conca D'oro, dove la UE ha autorizzato l'importazione di agrumi dal Nord Africa. Il sistema globale della Grande Distribuzione si rifornisce nei paesi produttori con prezzi più vantaggiosi. Come le olive solo perché molite in Italia si trasformano in olio italiano La scienza e la tecnica applicate all’agricoltura ed alla zootecnia, fanno passi da giganti, eppure per l’immenso “Sud del Mondo” ciò comporta solo impoverimento, denutrizione e crescente dipendenza alimentare. Mai come oggi, si è assistito ad un “crimine” di tale portata, per cui, di fronte a tanta reale (ed ancor più potenziale) abbondanza, quattro quinti dell’umanità sono ricacciati nella più nera indigenza. Hanno ragione le popolazioni a basso reddito latino americane, asiatiche ed africane quando con le loro proteste dicono che la fame non è generata dalla penuria di prodotti agricoli o dalla scarsezza di terra e di mezzi esistenti, ma dalla loro distribuzione e dal loro utilizzo. Da qui l'esodo incontrollato di diverse etnie verso l'occidente.
Secoli di continua e crescente “rapina” coloniale e neo colonialismo, hanno portato alla concentrazione di tutte le risorse produttive (alimentari e non) nelle mani delle multinazionali statunitensi ed europee sostenute dal sistema bancario. La globalizzazione latifondista, figlia ed erede legittima proprio di questi processi, tanto da accelerarli, estende, approfondisce ed intensifica a livelli assolutamente sconosciuti prima. Ogni anno milioni di lavoratori delle campagne vengono sradicati a viva forza, espropriati ed allontanati dai loro appezzamenti e gettati nell’inferno delle baraccopoli o costretti ad emigrare qui in Occidente dove ad attenderli trovano razzismo, altro sfruttamento ed altra oppressione.
Il multinazionalismo latifondista, in perfetta alleanza e simbiosi, è vivo e vegeto più che mai ed i contadini vengono sempre più sottomessi dalle necessità dei "sistemi finanziari mondiali” e trasformati progressivamente in precarissimi salariati agricoli. La produzione di alimenti, al pari di ogni altro tipo di produzione, viene totalmente finalizzata alle necessità di profitto e di mercato dal multinazionalismo latifondista e della finanza bancaria internazionale.
L'India ha seguito tutti i colori delle rivoluzioni agricole: quella "verde" del produttivismo, quella "bianca" per la produzione del latte, quella "gialla" per lo sviluppo dell'industria degli oli da seme, molto recentemente. Malgrado l'India abbia dichiarato una politica di sviluppo rivolta all'interno, le politiche liberiste in campo agricolo approntate già agli inizi degli anni '90 hanno consentito un raddoppio delle esportazioni agricole, con una presenza rimarchevole dei cereali che rappresentano quasi il 45% di tutte le esportazioni agricole.
Le importazioni alimentari, però sono aumentate del 168%. L'impatto di queste cifre sulla povertà può essere così riassunto: negli anni '80 la povertà tendeva a diminuire, successivamente grazie a vigorose politiche di liberalizzazione – la povertà ha avuto un tendenza visibile alla crescita.
Anche gli agricoltori e gli allevatori europei sono sempre più colpiti e costretti a fare i conti con i diktat che il grande capitale emanato attraverso le sue istituzioni "multinazionali" e si vedono sempre ridotti a semplici e totalmente subalterne appendici della grande finanza, come hanno dimostrato le stesse lotte dei produttori di latte degli scorsi anni, e di recente a Milano. E questa stessa lotta non porta forse in se la critica all’assurdità di un sistema che per "ragioni di mercato" impone la distruzione del latte a fronte di centinaia di milioni di esseri umani che il latte non ne hanno neanche una goccia?
Enormi finanziamenti pubblici (gli USA prevedono di stanziare centinaia di miliardi di dollari in "sussidio" all’agricoltura nei prossimi dieci anni) alla propria grande industria agro-alimentare, protezionismo e dumping: il dominio alimentare di un pugno di “Global Company” sull’intera umanità è accompagnato, promosso e tutelato dall’apparato burocratico militare dell’occidente, e dove non si arriva con le "misure economiche" è pronto ad intervenire con la forza. I milioni e milioni di esseri umani morti ogni anno per fame sono l’altro aspetto, l’altra faccia di quella stessa guerra che il “multinazionalismo latifondista” conduce contro i popoli in nome del Dio Denaro e dell'”Apostolo Mercato” che osano opporre resistenza alla rapina di ogni loro risorsa frutto del lavoro.
Se il WTO, il FMI, la Banca Mondiale e tanti altri organismi in via di operatività, vengono individuati come i principali responsabili della crescente miseria in cui sono sospinti interi continenti, la FAO - dai movimenti e da quanti si vogliono battere contro l’attuale stato delle cose - viene vista come un qualcosa di "diverso", come un organismo con cui dialogare e su cui fare pressione affinché eserciti realmente le sue "funzioni istituzionali" e contribuisca per tal via ad alleviare le sofferenze alimentari dell’umanità.
Ma confidare nella FAO per combattere la fame è come confidare nell’ONU per fermare le guerre. Come quest’ultimo, si è sempre distinto per aver quantomeno supportato le aggressioni occidentali, così allo stesso modo l’azione della FAO, in tutti questi anni, non solo si è dimostrata "inefficace", ma, alla lunga, ha favorito l’indebolimento delle produzioni agricole del Sud del mondo a tutto vantaggio delle varie Multinazionali Latifondiste.
La FAO non è dunque un’istituzione "alternativa", ma una semplice parte dello stesso sistema che domina il mondo e il cui centro risiede nei consigli d’amministrazione delle multinazionali occidentali dell’agroalimentare.
Secondo il punto di vista di chi scrive, ogni popolo ha il diritto e il dovere di applicare politiche agricole nazionali che assicurino gli alimenti necessari alla propria autonomia alimentare. Il commercio agricolo non deve continuare ad essere subordinato agli interessi delle grandi imprese e alla loro esigenza di ottenere alti margini di guadagno. Di certo andrebbero rivisti tutti gli accordi “multinazionalistici” ratificati dai governi aderenti, riconducendo il sistema bancario nei propri ambiti istituzionali finalizzati al sostegno e al finanziamento delle innovazioni per lo sviluppo compatibile con le esigenze del territorio. Non c'è dubbio che il sistema “Multinazionalistico Latifondista” ha fallito. Incrementando l'agricoltura di “presso” per ottenere prodotti controllati e certificati.
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