domenica 8 novembre 2020

Konrad

 


L'Europa, spiegata bene


Un ragazzo in bicicletta fotografato nella periferia di Nicosia, a Cipro (Petros Karadjias/AP Photo)
 
In mezzo all'entusiasmo con cui abbiamo seguito le elezioni negli Stati Uniti – sul Post e fuori dal Post – abbiamo notato sacche di snobismo e indignazione: com'è possibile che sappiamo tutto sulle contee che tendono più a sinistra in Arizona, mentre lettori e giornali non riescono a dedicare la stessa attenzione, per esempio, alle elezioni europee?

La risposta è che lo fanno già: le elezioni europee sono state in assoluto il tema politico più discusso in Europa per buona parte del 2019, tanto che si registrò un'affluenza mai vista nell'ultimo quarto di secolo. E quando i Paesi Bassi – la nostra Arizona – votarono un paio di giorni prima del resto d'Europa, i risultati finirono sulle prime pagine dei principali quotidiani italiani. Poi certo: l'Europa sconta ancora un gap di fascinazione e immaginario con gli Stati Uniti, ne parlavamo giusto due settimane fa: ma perché badare solo a quello che manca senza riconoscere i passi in avanti rispetto a dieci, venti, ottanta anni fa – quando per inciso noi europei ci sparavamo addosso? Fine della tirata.

Nei giorni scorsi abbiamo letto vari pezzi che provano a spiegare cosa cambierà per l'Europa e le istituzioni europee con l'elezione di Biden, che a meno di sorprese sarà ufficiale nel momento in cui leggere questo numero. È ancora prestissimo per dirlo, ma siamo abbastanza sicuri che cambieranno due cose: i toni – Trump resterà per sempre il primo presidente americano ad aver definito l'UE «un nemico» – e l'approccio nei confronti di Brexit, come peraltro Biden (che ha origini irlandesi) ha già lasciato intendere: la nuova amministrazione si opporrà a qualsiasi accordo che metterà in pericolo gli accordi del Good Friday, e difficilmente offrirà al governo Johnson un accordo commerciale nel giro di pochi mesi, come invece potevamo aspettarci da Trump. 

Sul resto – i dazi su alluminio e acciaio europei, la controversia Boeing-Airbus, la digital tax che potrebbe colpire le grandi aziende americane di tecnologia, peraltro più vicine ai Democratici che ai Repubblicani – staremo a vedere: avremo quattro anni per occuparcene.

Una foto che avrà presto un sequel (AP Photo/Markus Schreiber)

Sul fronte della pandemia siamo di nuovo in una fase in cui le decisioni di cui parliamo in tutta Europa vengono prese dai governi nazionali, come il lockdown deciso da Macron o il semi-lockdown annunciato da Merkel. Rispetto all'ultima volta che ci siamo sentiti quasi tutti i paesi hanno adottato misure più stringenti, dal lockdown totale di Francia e Grecia passando per i lockdown locali di Regno Unito, Portogallo, Germania e Italia.

Stavolta le istituzioni europee non hanno nemmeno provato a coordinare le misure nei vari paesi: anche perché si è capito che la pandemia colpisce ciascun paese in maniera diversa, a seconda di un numero indefinito di variabili. Rispetto ai primi lockdown, però, una cosa è cambiata, anche se l'abbiamo raccontata poco: i confini interni europei non sono mai stati chiusi.

Ricordate la mappa dello scorso numero? Ora è diventata praticamente tutta rossa

Nei palazzi delle istituzioni europee – lo scriviamo in maniera figurata, visto che si sono spostati quasi tutti in smartworking – quella appena passata è stata soprattutto la settimana del compromesso sul nuovo meccanismo legato al budget pluriennale 2021-2027 per fare rispettare lo stato di diritto nei paesi dell'Est.

Ne abbiamo parlato più volte. Gli esperti di stato di diritto, le principali organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani e persino le autorità indipendenti dell’Unione Europea concordano che diversi paesi membri dell’Est – soprattutto Ungheria e Polonia, ma anche Repubblica Ceca, Bulgaria e Romania – abbiano problemi enormi nel rispettare l’indipendenza della magistratura e dei tribunali, nel garantire la trasparenza riguardo le misure prese dal governo, e nel proteggere i diritti di minoranze e oppositori politici. La Commissione ha avviato da tempo delle procedure di infrazione contro Polonia e Ungheria su singoli provvedimenti o prese di posizione – per esempio il trattamento disumano nei confronti dei migranti in Ungheria, o le nomine politiche dei giudici in Polonia – senza riuscire a influenzare più di tanto le decisioni dei rispettivi governi.

L’introduzione di un meccanismo che leghi esplicitamente il rispetto dello stato di diritto all’accesso ai fondi è un tentativo di creare uno strumento nuovo, considerata sia l’inefficacia di quelli esistenti sia la cronica dipendenza dei paesi dell’Est dai fondi europei, a cui tengono moltissimo (fondi che peraltro la classe dirigente locale utilizza anche per consolidare il proprio potere). Fra il 2013 e il 2020 l’Ungheria ha ricevuto dall’Unione Europea fondi per 46,5 miliardi di euro, un terzo del suo PIL annuale. La Polonia, il paese che più di tutti beneficia di fondi europei per via della povertà diffusa e dell’arretratezza dell’industria locale, nello stesso periodo ha ottenuto 207 miliardi di euro.

Dopo un mesetto di negoziati, nei giorni scorsi Parlamento e Consiglio hanno trovato un compromesso che presto diventerà la misura definitiva. In sostanza prevede che se la Commissione individuerà una violazione dello stato di diritto in alcuni campi precisi come la giustizia, o nella gestione dei fondi europei – perché per esempio sono stati assegnati agli amici di Viktor Orbán, o perché finanziano iniziative contrarie ai valori europei – potrà raccomandare al Consiglio di sospendere l'erogazione dei fondi: e il Consiglio potrà approvare la raccomandazione con un voto a maggioranza qualificata, in modo da evitare che anche un solo paese possa porre il veto. 

Il compromesso trovato sembra più efficace di quello uscito dal Consiglio il mese scorso, e infatti il mood prevalente fra i parlamentari che se ne sono occupati è di soddisfazione: ora resta da capire quale sarà la contromossa dei paesi dell'Est, che per ritorsione potrebbero decidere di bocciare l'intero bilancio pluriennale 2021-2027, che peraltro comprende anche il famigerato Recovery Fund. Ci torneremo presto.
 

Secondo voi di che colore sono gli occhi di Orban? Grigi? Verdi? Marroncini? (Johanna Geron, Pool via AP)

Nella solita bolla ha fatto piuttosto rumore una polemica che ha coinvolto la corrispondente del Financial Times a Bruxelles ed Emmanuel Macron sui recenti attentati compiuti in Francia da terroristi islamisti. Qualche giorno fa la giornalista in questione, Mehreen Kahn – molto giovane e molto brillante, britannica e pro-Brexit, musulmana praticante – aveva pubblicato un articolo di opinione che criticava la recenti prese di posizione di Macron sui rischi dell'Islam politico e radicale: l'articolo si può leggere qui.

Kahn sosteneva che per allontanare i musulmani francesi dalle frange più estreme dell'Islam Macron avrebbe dovuto adottare toni più concilianti: più da presidente che cerca di unire il paese in un momento difficile che da leader politico che vuole riempire il vuoto alla sua destra. Usiamo l'imperfetto perché il giorno dopo la sua pubblicazione il Financial Times ha preso la decisione alquanto straordinaria di ritirare l'articolo: al suo posto c'è un messaggio di scuse per gli «errori fattuali» contenuti nell'articolo. Due giorni fa inoltre il Financial Times ha pubblicato una lunga replica di Macron in cui il presidente francese sostiene di non aver mai attaccato l'Islam in quanto religione, bensì la dottrina islamista – cioè che quella che non prevede separazione fra Islam e stato – e le sue frange radicali.

Alcuni colleghi di Kahn le hanno espresso solidarietà: qualcuno l'ha persino fatto con un disegnetto.

Una brava giornalista dell'Irish Times si chiede se non sia ipocrita difendere la libertà di parola di Charlie Hebdo e criticare articoli di opinione che compaiono sul Financial Times

Una piccola storia italiana, per chiudere. Da tempo nella delegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo si erano formate due fazioni: governisti e non governisti. Nei giorni scorsi i quattro non governisti si sono lamentati con gli 8 collaboratori che curano la comunicazione del gruppo perché durante la discussione sulla nuova Politica Agricola Comune (PAC) non hanno spiegato i dubbi interni alla delegazione (i governisti sono per il Sì, i non governisti per il No).

È finita che i non governisti si sono rifiutati di continuare pagare lo stipendio degli 8 collaboratori, che quindi sono stati licenziati: i governisti non potevano permettersi di coprire da soli le spese dei loro stipendi. Non è chiaro se qualcuno di loro sarà ripescato in qualche modo o cosa ne sarà della comunicazione del gruppo – al Parlamento Europeo il M5S siede fra i non iscritti, quindi non può nemmeno appoggiarsi ai collaboratori del gruppo di appartenenza – ma il punto è che una scissione sembra ormai inevitabile.
 

Cose che forse vi siete persi

In Slovacchia, l'avrete letto, hanno testato in un solo giorno due terzi della popolazione: come hanno fatto? In Danimarca hanno deciso di abbattere milioni di visoni per timori legati a una possibile mutazione del SARS-CoV-2, e persino indetto un nuovo lockdown nazionale. È stata inaugurata la tratta Amsterdam-Londra dell'Eurostar.

Il presidente del Kosovo Hashim Thaçi si è dimesso dopo essere stato accusato formalmente di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Dopo due settimane di proteste in tutto il paese, il governo polacco ha rinviato la nuova legge che restringe ulteriormente l'accesso all'aborto.
 

Cose da leggere

– È ricominciata la corsa per sostituire Angela Merkel all'interno della CDU, dopo che l'erede designata Annegret Kramp-Karrenbauer si è chiamata fuori l'anno scorso. La racconta Politico

– Una bella riflessione di Wolfgang Blau – esperto di giornalismo ed ex presidente della mega casa editrice Condé Nast – sulla necessità di costruire una voce europea nel mondo del giornalismo, con un sacco di spunti e stimoli aggiornati al 2020 (non è mai scontato, in discussioni che vanno avanti da molti anni).

– A proposito di giornalismo europeo: un pezzo di Alternatives économiques tradotto in italiano dall'European Data Journalism Networkl'Europa non ricicla abbastanza imballaggi di plastica?

– Un lettore ci ha chiesto dove trovare il video integrale del discorso di fine ottobre in cui Angela Merkel spiega le ragioni dietro al nuovo semi-lockdown, molto apprezzato dalla stampa tedesca: il video lo trovi qui, ma purtroppo i sottotitoli sono disponibili solo in tedesco. Qui invece trovate il comunicato stampa ufficiale della conferenza stampa, con qualche stralcio.

– Siamo sicuri che l'Europa abbia un piano a medio termine per gestire il coronavirus? Se l'è chiesto Science in un articolo tradotto di recente da Internazionale.
 

La bacheca di Konrad

Questo spazio serve per segnalare concorsi, bandi, tirocini e iniziative simili: non perché crediamo nello stucchevole approccio quante-cose-che-l'Europa-fa-per-noi, ma perché ci sembra innegabile che le istituzioni europee offrano esperienze meritevoli e poco pubblicizzate. Se ve ne capita davanti qualcuna e volete segnalarla, scriveteci pure.

• Usciamo per un attimo dal seminato delle istituzioni. La divisione europea di Google ha messo in palio dieci borse di studio per studenti disabili che studiano informatica o ingegneria informatica: per presentare la propria domanda servono pochi passaggi, e c'è tempo fino alla fine dell'anno. 


 
Per suggerimenti, indicazioni o consigli, potete rispondere a questa mail. Se questo numero vi è piaciuto proprio tanto, potete inoltrarlo: non lo vieta nessuna direttiva, per ora.


Ci sentiamo fra due settimane. Ciao!

 

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