esplicitare, in apertura, l’art. 2) e non anche per l’applicazione di altre norme, in particolare del codice civile (che, peraltro, vengono espressamente richiamate, in via
integrativa, dalla clausola di salvaguardia posta dall’art. 1, comma 3, del TUSP, in base alla quale “per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato”).
In proposito, può essere subito sottolineato come il decreto legislativo n. 175 del 2016, nel palesare la concorrente applicazione delle proprie disposizioni e di quelle del codice civile (o, in generale, delle norme di diritto privato), dispone che le seconde siano recessive in caso di fattispecie regolata dalle prime.
Tale esplicito criterio di prevalenza non può non valere anche per l’individuazione dell’aggregato delle “società a controllo pubblico” (individuato dall’art. 3, comma 1, lett. m), in
combinato disposto con la lett. b), del decreto), a cui sono rivolte, direttamente o per il tramite dell’ente socio, svariati, qualificanti, precetti del Testo unico, quali quelli contenuti negli artt. 6, 11, 14, 19 e 25.
Va evidenziato, a conferma del carattere funzionale delle definizioni contenute nell’art. 2 del d.lgs. n. 175 del 2016, propria delle nozioni ormai ricorrenti nella recente legislazione, in particolare di origine comunitaria (fra i casi più noti quella di “organismo di diritto pubblico”, propria della normativa in materia di contratti pubblici e quella di “amministrazione pubblica inserita nel c.d. elenco ISTAT”, rilevante di fini della redazione del conto economico consolidato e della potenziale soggezione a norme di finanza pubblica), come il medesimo Testo unico, all’art. 26,
comma 9, si premuri di modificare la definizione di “società controllata” (e “società partecipata”) rilevante, ai sensi dell’art. 11-quater (e 11-quinquies) del d.lgs. n. 118 del
2011, “ai fini dell'elaborazione del bilancio consolidato” fra enti territoriali e società o altri enti e organismi strumentali (definizione, quest’ultima, che richiama, ma si
distingue, da quella contenuta nell’art. 2359 del codice civile).
Può farsi rinvio, sul
punto, anche al recente referto sugli organismi partecipati, approvato dalla Sezione delle Autonomie con deliberazione n. 23/2018/FRG, paragrafo 1.3.1.
Anche la Sezione regionale di controllo remittente ha evidenziato che le definizioni di “controllo” contenute nel TUSP, sono più ampie (o comunque non esattamente coincidenti) di quelle civilistiche.
Tale affermazione trova riscontro, in primo luogo, nell’art. 2, comma 1, lettera b), secondo cui il “controllo” da parte di un
ente socio, oltre che nelle situazioni descritte nell’articolo 2359 cod. civ. (maggioranza del capitale sociale, disponibilità di voti sufficienti ad esercitare un’influenza dominante in assemblea ordinaria o di rapporti contrattuali aventi lo
stesso effetto) “può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività
sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo” (con l’effetto di qualificare, ai fini del TUSP, come “socio controllante”, in presenza della
necessità di un “consenso unanime” da parte dei soci che “condividono il controllo”, anche un’amministrazione pubblica avente una minima quota del capitale sociale).
Inoltre, aspetto maggiormente rilevante per il corretto inquadramento della questione di massima in esame, la successiva lettera m) individua le “società a controllo pubblico” come quelle in cui i requisiti previsti dall’art. 2359 cod. civ. sono esercitati “… da una o più amministrazioni”.
Ne consegue, anche a giudizio della Sezione remittente, che, in applicazione di corretti principi ermeneutici, la disposizione recata dalla menzionata lettera m) non possa tradursi in
un’enunciazione pleonastica, ma debba essere interpretata nel senso che abbia (anziché non) una portata autonoma e innovativa.
Va rimarcato, altresì, che il d.lgs. n. 175 del 2016 non si limita, come visto, ad enunciare, ai fini dell’applicazione delle norme in esso contenute, la definizione di “controllo” (con richiamo alla nozione civilistica dell’art. 2359, e inserimento di un’ipotesi autonoma, cfr. art. 2, lett. b), ma vi affianca quella, distinta, di “società a controllo pubblico” (art. 2, lett. m), rilevante al solo fine di individuare l’ambito soggettivo di applicazione di una serie di disposizioni del Testo unico che, al ridetto aggregato, fanno esplicito ed esclusivo riferimento (cfr. artt. 6, 11, 14, 19 e 25).
La predetta definizione vede, quale elemento normativo qualificante, il riferimento delle situazioni previste dall’art. 2359 cod. civ. a “una o più” amministrazioni pubbliche socie.
La Sezione remittente ha evidenziato come l’individuazione delle “società a controllo pubblico”, prodromica all’applicazione delle norme del d.lgs. n. 175 del 2016,
sia stata scrutinata più volte, in particolare da alcune Sezioni regionali di controllo, dal Ministro dell’economia e delle finanze (e, si aggiunge, dall’Autorità Nazionale anticorruzione), nonché dal giudice amministrativo. In relazione alle sentenze adottate da quest’ultimo, citate nella delibera di rimessione, preme subito precisare come non si tratti di pronunce che hanno affrontato le questioni oggetto degli odierni dubbi interpretativi, essendo intervenute, come si vedrà più avanti, a valutare, ai fini del sindacato di legittimità su provvedimenti di razionalizzazione societaria (ex art. 24 TUSP), il differente profilo, nella prospettiva dell’ente socio (non della società), della stretta inerenza della partecipazione societaria alla missione istituzionale di quest’ultimo (cfr. art. 4 TUSP), ritenendolo (solo in primo grado) non provato in caso di possesso di quote societarie di minoranza.
Per quanto concerne i precedenti assunti in sede consultiva, la deliberazione n. 3/2018/PAR della Sezione regionale di controllo per la Liguria ha sottolineato come le norme del d.lgs. n. 175 del 2016, nel definire, mediante il combinato disposto dell’art. 2, comma 1, lett. b) ed m), le “società a controllo pubblico”, sembrino accentuare, rispetto alla nozione contenuta nell’art. 2359 del codice civile, lo
spostamento della prospettiva di analisi dal “socio controllante” alla “società controllata”.
Mentre l’art. 2359 cod. civ., infatti, considera “società controllate” quelle in cui “un’altra” società dispone dei voti o dei poteri (anche aventi fonte contrattuale) indicati ai numeri 1), 2) e 3) della ridetta disposizione, in virtù del combinato
disposto delle lettere b) ed m) dell’art. 2 del TUSP, vengono qualificate come “società a controllo pubblico” quelle in cui “una o più” amministrazioni dispongono “dei voti” o “dei poteri” (anche di fonte contrattuale) indicati nel codice civile (a cui si aggiunge la fattispecie, ulteriore e autonoma, indicata al secondo periodo della lett. b) dell’art. 2 del Testo unico, del c.d. controllo “di minoranza”, avente fonte in norme di legge, statutarie o di patti parasociali che, per le decisioni sociali strategiche, richiedono il consenso unanime di tutti i soci, per inciso privati o pubblici che siano).
Tale lettura, fondata sul dato letterale dell’art. 2 del TUSP (frutto del combinato disposto delle lettere b) ed m) e del richiamo integrale della seconda alla prima e della riferibilità della situazione descritta dall’art. 2359 cod. civ a “una o più”
amministrazioni pubbliche socie) è stata ritenuta anche funzionale all’obiettivo del legislatore, emergente da una lettura sistematica del decreto, di assoggettare le “società a controllo pubblico” a disposizioni più stringenti (si rinvia ai già citati artt. 6, 11, 14, 19 e 25) rispetto a quelle rivolte agli organismi a mera “partecipazione” (e meno rigorose, a loro volta, di quelle valevoli per le sole società c.d. “in house”, a cui si rivolgono, per esempio, gli artt. 12 e 16, comma 7, TUSP).
L’interpretazione esposta, in conformità alla ratio normativa, evita, altresì, che le società a capitale pubblico frazionato (ricorrenti nell’ambito dell’espletamento dei servizi pubblici locali) possano strumentalmente sottrarsi, per esempio,
all’applicazione delle disposizioni in materia di amministratori e dipendenti (artt. 11, 19 e 25 TUSP), dettate nei confronti delle “società a controllo pubblico” (eccependo l’assenza di norme di legge, statutarie o di patti di sindacato fra i soci pubblici, tutti di minoranza, esplicitanti e delimitanti le modalità di esercizio del controllo o, quantomeno, fino a quando tale inadempimento si protrae).
Considerazioni analoghe sono state effettuate, sempre in sede consultiva, nella deliberazione n. 8/2018/PAR della Sezione di controllo per il Trentino-Alto Adige/Südtirol, sede di Bolzano, che, nel trattare una richiesta di parere volta a
chiarire se una società in house a controllo congiunto da una pluralità di enti locali, dovesse essere considerata, ai sensi del d.lgs. n. 175 del 2016, quale “società a controllo
pubblico”, ha sostenuto che, in base al combinato disposto dell’art. 2, comma 1, lett. b) e m), del TUSP e dell’art. 2359 cod. civ., la “pubblica amministrazione socia” è Stata individuata come un “soggetto unitario”, Indipendentemente dal fatto che il controllo
venga svolto da una sola amministrazione pubblica socia o da più di esse
cumulativamente.
A supporto, la menzionata deliberazione richiama,
condividendone i contenuti, oltre alla citata deliberazione della Sezione Liguria n.
3/2018/PAR, anche un orientamento assunto, in data 15 febbraio 2018, dalla
struttura del Ministero dell’economia e delle finanze competente al monitoraggio
delle disposizioni del Testo unico (cfr. art. 15, comma 2), nonché le indicazioni
fornite dall’ANAC (deliberazione n. 1134/2017), concludendo nel senso che le
società in cui “una o più” amministrazioni dispongono dei voti o dei poteri
enucleabili dal combinato disposto dell’art. 2, lett. b) e m), TUSP e dell’art. 2359, n.
1), 2) o 3) cod. civ. devono essere considerate “società a controllo pubblico”
(considerazioni che valgono a fortiori per le società c.d. “in house”, nelle quali, ai
sensi dell’art. 2, comma 1, lett. d) e o), del medesimo TUSP, “una o più”
amministrazioni pubbliche esercitano il “controllo analogo”, come definito alla
precedente lettera d), mediante richiamo ai presupposti previsti dall’art. 5, comma
5, del Codice dei contratti pubblici, d.lgs. n. 50 del 2016).
Anche la deliberazione n. 42/2018/PAR della Sezione regionale per il
Piemonte ha concluso nel senso già indicato nei pareri delle Sezioni Liguria e
Trentino-Alto Adige/Südtirol.
Ugualmente netta è stata, come accennato, la posizione della Struttura di
monitoraggio e controllo delle partecipazioni pubbliche, costituita, in seno al
Ministero dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 175 del 2016
(competente, in base alla legge, “per l'indirizzo, il controllo e il monitoraggio
sull'attuazione del presente decreto”).
Secondo la nota di orientamento del 15 febbraio
2018, infatti, ai fini del TUSP, il controllo di cui all’art. 2359 cod. civ. può essere
esercitato “da più amministrazioni congiuntamente, anche a prescindere dall’esistenza di
un vincolo legale, contrattuale, statutario o parasociale”.
Anche a parere del predetto
ministero sia l’interpretazione letterale che la ratio sottesa alla riforma, nonché una interpretazione logico-sistematica delle disposizioni, inducono a ritenere che la pubblica amministrazione, quale soggetto che esercita il controllo, sia stata intesa dal
legislatore del TUSP come soggetto unitario, a prescindere dal fatto che, nelle singole
fattispecie, il controllo di cui all’art. 2359, comma 1, numeri 1), 2) e 3), faccia capo ad
una singola amministrazione o a più di esse cumulativamente.
Analoghe argomentazioni, per inciso, si traggono dalla deliberazione ANAC
n. 1134/2017, che, nell’aggiornare le linee guida per l’attuazione della normativa in
materia di prevenzione della corruzione e trasparenza, da parte delle società e degli
enti di diritto privato controllati e partecipati da pubbliche amministrazioni, ha
precisato che rientrano fra le “società a controllo pubblico” (ai fini della cui definizione
l’art. 2-bis del d.lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d.lgs. n. 97 del 2017, fa
propria quella del testo unico sulle società pubbliche) anche quelle a controllo
congiunto, ossia in cui il ridetto presupposto, come declinato dall’art. 2359 del codice
civile, è esercitato da una pluralità di amministrazioni.
Le esposte conclusioni risultano fatte proprie anche dalla deliberazione della
Sezione delle autonomie n. 27/2017/FRG, che, incidentalmente, dopo aver ricordato
che le “società a controllo pubblico” sono quelle in relazione alle quali “una o più”
amministrazioni integrano i poteri di controllo, ha sottolineato come si tratti di
definizione particolarmente rilevante, in quanto la maggior parte delle deroghe alla
disciplina di diritto comune, presenti nel d.lgs. n. 175 del 2016, riguardano tale
aggregato di società.
La medesima deliberazione ha evidenziato, inoltre, come anche
le norme che fanno riferimento alle “partecipazioni indirette” siano condizionate, in
virtù della definizione contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. g), TUSP, dalla corretta
individuazione delle “società a controllo pubblico”.
In termini, il recente referto su “Gli
organismi partecipati dagli enti territoriali”, approvato con deliberazione n.
23/2018/FRG (cfr. paragrafo 1.5.1).
Anche nelle Linee guida per il referto annuale sul funzionamento del sistema
dei controlli interni degli enti locali per l’esercizio 2017, approvato dalla Sezione
delle Autonomie con deliberazione n. 14/2018/INPR, risulta inserita una domanda
dalla quale si trae l’orientamento di ritenere sufficiente, ai fini dell’inclusione nel
11
perimetro delle “società a controllo pubblico”, il possesso della maggioranza del
capitale sociale da parte di una o più amministrazioni (“Nel perimetro delle società
controllate sono state incluse anche le società a totale partecipazione pubblica per le quali il
controllo viene esercitato in forma congiunta, anche mediante comportamenti concludenti,
indipendentemente dall’esistenza di norme di legge, statutarie e/o accordi formalizzati?”).
Nella stessa direzione le linee guida per il referto sui controlli interni dei Presidenti
delle Regioni (sia per il 2017, deliberazione n. 11/2018/INPR, che per il 2018,
deliberazione n. 11/2019/INPR, cfr. sezione III, domanda 3.2).
La problematica, come ricordato anche dalla Sezione remittente, si è posta pure
in sede di esame dei piani di revisione, straordinaria e periodica, delle partecipazioni
societarie, che le amministrazioni pubbliche socie hanno dovuto approvare ai sensi
degli artt. 20 e 24 del d.lgs. n. 175 del 2016.
La definizione di “società a controllo
pubblico” condiziona, infatti, in questo caso, l’esatto ambito di applicazione oggettivo
dell’obbligo, posto in questo caso in capo agli enti soci, del processo di revisione
straordinaria e razionalizzazione periodica (che, per le “partecipazioni indirette”, in
virtù del combinato disposto degli artt. 20, comma 1, 24, comma 1 e 2, comma 1, lett.
g), è condizionato dalla definizione di “società a controllo pubblico”).
In merito, la Sezione regionale di controllo per l’Emilia-Romagna, con
deliberazione n. 43/2018/VSG (similare la deliberazione n. 36/2018/VSGO), ha
rilevato che, ai fini della inclusione nella ricognizione delle partecipazioni indirette,
occorre far riferimento alla definizione contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. g), del
Testo unico, secondo la quale è tale la “partecipazione in una società detenuta da una amministrazione pubblica per il tramite di una società o di altri organismi soggetti a controllo
da parte della medesima amministrazione pubblica”.
In proposito, ha ritenuto che il
ridetto “controllo” sussista “anche nell’ipotesi in cui più amministrazioni pubbliche socie
detengono la maggioranza del capitale di una società” (o se, di fatto, ne governano le
scelte strategiche).
Ne è derivato che le partecipazioni indirette, anche se detenute per il tramite di “società soggette a controllo congiunto”, vanno inserite nei
provvedimenti di razionalizzazione.
La citata deliberazione della Sezione regionale di controllo per l’Emilia-Romagna aggiunge “come l’ipotesi del controllo di cui all’art.
2359 del codice civile possa ricorrere anche quando le fattispecie considerate dalla norma si
riferiscano a più pubbliche amministrazioni, le quali esercitino tale controllo congiuntamente
mediante comportamenti concludenti, a prescindere dall’esistenza di un coordinamento
formalizzato” (con invito, in questo caso, agli enti soci ad assumere le iniziative
necessarie a formalizzare modalità e strumenti di controllo congiunto, profilo su cui
più avanti saranno effettuate alcune precisazioni in merito alla fonte normativa).
Alla conclusione di ritenere soggetti agli obblighi posti del TUSP le “società in
controllo pubblico” da parte di più amministrazioni socie giunge anche la Sezione
regionale di controllo per la Lombardia (cfr. deliberazione n. 3/2019/VSG), che ha
ritenuto condivisibile la scelta di un ente locale di inserire, nel piano di revisione
ordinaria (art. 20 TUSP), a differenza di quanto fatto in sede straordinaria (art. 24
TUSP), anche le partecipazioni indirette detenute tramite società controllate,
congiuntamente, con altri enti locali (o altre PA).
Infatti, le “Linee guida”, redatte dal
Dipartimento del tesoro del Ministero dell’economia e delle finanze, in
collaborazione con la Corte dei conti (Protocollo di intesa del 25 maggio 2016), ai fini
dell’alimentazione della banca dati prevista dall’art. 17, comma 4, del decreto-legge
n. 90 del 2014, convertito dalla legge n. 114 del 2014 (successivamente estesa, ai sensi
dell’art. 15 del d.lgs. n. 175 del 2016, alle esigenze informative discendenti
dall’attuazione del Testo unico), hanno incluso, nella nozione di “società partecipate
indirettamente”, ai fini della redazione della prima revisione periodica, non solo le
partecipazioni detenute tramite società sulle quali una sola amministrazione esercita
il controllo, ma anche quelle detenute attraverso società controllate congiuntamente
da più pubbliche amministrazioni.
La stessa Sezione regionale di controllo per l’Umbria, come ricordato nella
delibera di remissione, nel “Referto sul Piano di ricognizione e revisione straordinaria
delle partecipazioni societarie ai sensi dell’art. 24 del D. Lgs. n. 175/2016”, approvato con
deliberazione n. 5/2019/VSGO, ha rilevato, con riferimento alle società partecipate
da più enti, ciascuno dei quali titolare di una quota del capitale sociale non superiore al 50 per cento, diversi casi di mancata ottemperanza alle disposizioni dettate dal
TUSP nei confronti delle “società a controllo pubblico”.
La Sezione, nell’occasione,
aveva ribadito che, nei casi in cui “più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di
controllo ai sensi della richiamata lett. m), le partecipazioni detenute dagli enti pubblici,
complessivamente considerate, ne consentono il controllo di diritto ai sensi dell'art. 2359,
comma 1, n. 1), del c.c., ancorché nessuna di esse, autonomamente, sia in grado di esercitare
poteri di controllo”.
Aveva anche sottolineato come il legislatore del TUSP non abbia
ritenuto necessaria la formalizzazione di un accordo per il controllo congiunto tra i
diversi enti pubblici artecipanti, “posto che le prerogative agli stessi spettanti nella
qualità di soci debbono necessariamente convergere, per obbligo istituzionale, al comune
interesse pubblico”.
In tale ottica si giustificherebbe “l’assunzione, ai fini del TUSP, di
una particolare definizione di controllo pubblico, risultante dalla sommatoria delle
partecipazioni detenute nella stessa società da più enti”.
La deliberazione di rimessione n. 57/2019/PAR richiama, sull’argomento,
anche la sentenza del TAR del Veneto n. 363/2018, che, invece, sarebbe giunta a
conclusioni opposte.
In disparte la valutazione sulle motivazioni sottostanti (che
risultano riformate dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 578/2019), ciò che va
evidenziato, in questa sede, è che la pronuncia non riguarda l’ambito di estensione
della nozione di “società a controllo pubblico” (a cui si collega l’individuazione delle
norme che fanno riferimento al ridetto aggregato), ma la differente problematica
della valutazione, nella prospettiva di ogni ente socio, della legittimità della
detenzione di una partecipazione di minoranza, alla luce del combinato disposto
degli artt. 20, 24 e 4 del Testo unico, norme che richiedono, fra l’altro, di valutare la
stretta inerenza di tutte le partecipazioni societarie possedute (integralmente, di
maggioranza o di minoranza) alla missione istituzionale dell’ente pubblico socio.
Anche il Consiglio di Stato, nella successiva sentenza n. 578/2019, si sofferma,
ancora una volta (né potrebbe essere diversamente, alla luce dell’oggetto del
ricorso), sui soli presupposti per la legittima detenzione, da parte di un ente locale,
di una partecipazione pulviscolare, ritendendola compatibile con lo svolgimento di un servizio di interesse generale se “valutato come necessario a soddisfare i bisogni della
collettività di riferimento” (decisione rimessa alla discrezionalità
dell’amministrazione, salvo puntuali divieti o limiti normativi), rilevando come il
predetto presupposto possa non essere dimostrato in caso di assenza di adeguati
strumenti di coordinamento con le partecipazioni detenute da altri soggetti pubblici.
Di conseguenza, il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità del mantenimento
di partecipazioni, anche pulviscolari, volte alla produzione di servizi di interesse
generale, valorizzando il coordinamento stabile con altri soci pubblici (attraverso
patti parasociali o norme statutarie) finalizzato a poter incidere sulle scelte
strategiche della società, in particolare sotto il profilo della funzionalizzazione al
soddisfacimento di interessi generali.
La sentenza n. 578/2019 non interviene,
invece, sulla definizione di “società a controllo pubblico”.
Quest’ultima, contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. b) ed m), del d.lgs. n. 175 del
2016, definisce, come già esposto, l’ambito soggettivo di applicazione di uno
specifico aggregato di norme del testo unico, rivolto sia alle società (artt. 6, 11, 14, 15
e 25) che, mediatamente, in ragione della definizione di “partecipazione indiretta”
(collegata dall’art. 2, comma 1, lett. g), a quella di “controllo pubblico”), anche alle
pubbliche amministrazioni socie (cfr. artt. 4, 5, 20 e 24).
Si tratta, come messo in
evidenza anche dalla Sezione delle Autonomie (cfr., per esempio, deliberazione n.
23/2018/FRG, paragrafo 1.5), di un complesso di norme autonomo e distinto
rispetto a quello che fa riferimento alle mere “società partecipate” (destinatarie di
norme del TUSP solo in ragione degli obblighi imposti alle pubbliche
amministrazioni socie, cfr., per tutti, gli artt. 4, 5, 20 e 24) e a quelle “in house” (che,
oltre ad essere incise dalle norme che hanno come destinatarie le “società a controllo
pubblico”, sono direttamente soggette, per esempio, agli artt. 12 e 16, comma 7).
Volendo brevemente richiamare le norme, e relativo oggetto, del testo unico,
di cui sono direttamente destinatarie le società definite “a controllo pubblico”,
vengono in rilievo l’art. 6 (obbligo di contabilità separata e di predisposizione di
specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale), l’art. 14, comma 2 (obbligo, per l’organo amministrativo, in presenza di indicatori di crisi aziendale, di
adottare senza indugio provvedimenti necessari al fine di prevenire l'aggravamento,
pena l’avvio della procedura prevista dall’art. 2409 cod. civ.), l’art. 11 (disciplina
delle incompatibilità, dell’articolazione numerica e dei compensi massimi spettanti
agli organi di amministrazione) e l’art. 19 (sottoposizione delle assunzioni a
procedure selettive, con onere di regolamentazione di criteri e modalità).
Si evidenzia, per inciso, che, anche per quanto riguarda le norme di cui sono
destinatari diretti gli enti soci (può farsi rinvio, per esempio, agli artt. 4, 5, 7, 8, 9, 10,
20 e 24), il legislatore si premura di definire l’ambito soggettivo di applicazione,
precisando (art. 2, comma 1, lett. a)) che, sempre “ai fini del presente testo unico”, sono
considerate “amministrazioni pubbliche” quelle di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n.
165 del 2001 (e non, per esempio, le amministrazioni considerate pubbliche ex art. 1,
commi 2 e 3, della legge n. 196 del 2009, incluse nel c.d. “elenco ISTAT”).
In modo analogo, il legislatore del testo unico considera, ai soli fini
dell’applicazione delle proprie disposizioni, “società a controllo pubblico” quelle in cui
“una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b).
Quest’ultima norma, a sua volta, definisce il “controllo” come “la situazione descritta
nell'articolo 2359 del codice civile”, a cui aggiunge, in un periodo autonomo (ad evidenziarne la distinzione rispetto alla fattispecie precedente) che il controllo può
sussistere “anche” quando (congiunzione che palesa la natura integrativa rispetto
all’ipotesi precedente dell’art. 2359 cod. civ.) “in applicazione di norme di legge o
statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative
all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il
controllo”.
L’art. 2359 del codice civile prevede tre distinte, e alternative, ipotesi di
controllo.
La prima fa riferimento alla mera detenzione, da parte di una società,
“della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria”, la seconda richiede che
la disponibilità “di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea
ordinaria” e la terza riconduce, infine, il controllo alla ricorrenza di una “influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali”.
Appare chiaro
che, mentre la prima fattispecie viene integrata, oggettivamente, dalla disponibilità
della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (non richiedendo,
invece, per esempio, la maggioranza, assoluta o eventualmente più elevata, richiesta
dallo statuto, prevista per l’assemblea straordinaria, ex art. 2368 cod. civ.), la seconda
e la terza devono essere provate, alla luce delle circostanze del caso concreto, da chi
intende far valere l’esistenza di una situazione di controllo.
Il Testo unico delle società pubbliche richiama, all’art. 2, senza esaurirla, la
definizione codicistica, come palesato sia dalla lettera b), che vi aggiunge una
fattispecie autonoma, che dalla lettera m), che, per indentificare una “società a
controllo pubblico”, consente che “una o più” amministrazioni pubbliche, e non solo
“una”, dispongano dei voti o dei poteri di controllo previsti dalla precedente lettera
b).
Quest’ultima, a sua volta, richiama integralmente tutte le ipotesi, alternative,
elencate nell’art. 2359 cod. civ. (oltre a introdurre una, già esposta, nuova ed
autonoma).
Pertanto, in virtù del combinato disposto delle lett. b) ed m) dell’art. 2 del TUSP,
possono essere qualificate come “società a controllo pubblico” quelle in cui “una o più”
amministrazioni dispongono della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea
ordinaria (oppure di voti o rapporti contrattuali sufficienti a configurare
un’influenza dominante).
Naturalmente, come già sottolineato da recenti sentenze delle Sezioni riunite
in speciale composizione di questa Corte (n. 16/2019/EL), l’esposto criterio di
individuazione, basato sull’applicazione letterale del combinato disposto delle
lettere b) ed m) dell’art. 2 del TUSP, deve essere rivisto quando, in virtù della
presenza di patti parasociali (art. 2314-bis cod. civ.), di specifiche clausole statutarie
o contrattuali (anche aventi fonte, per esempio, nello specifico caso delle società
miste, nel contratto di servizio stipulato a seguito di una c.d. “gara a doppio oggetto”),
risulti provato che, pur a fronte della detenzione della maggioranza delle quote
societarie da parte di uno o più enti pubblici, sussista un’influenza dominante del socio privato o di più soci privati (nel caso, anche unitamente ad alcune delle
amministrazioni pubbliche socie).
Si sottolinea, in proposito, che lo stesso legislatore del TUSP riserva alle società
miste pubblico-privato un’apposita disciplina (funzionale, in particolare,
all’attuazione del rapporto sociale e contrattuale), anche in ordine agli strumenti per
l’integrazione di situazioni di controllo (cfr. art. 17, commi 1-4).
Ferma restando, secondo i canoni sopra esposti, l’individuazione delle “società
a controllo pubblico”, che fa necessario riferimento al momento temporale in cui
occorre rispettare un predeterminato obbligo posto dal Testo unico (per es.,
adeguamento del numero degli amministratori, ex artt. 11, commi 2 e 3, da effettuare
entro il 31 luglio 2017; limiti ai compensi degli amministratori, ex art. 11, comma 7,
vigenti sin dall’entrata in vigore; adozione di programmi di prevenzione del rischio
di crisi aziendale, ex art. 6, comma 2, cui sono connesse le responsabilità previste
dall’art. 14, comma 2, da approvare entro il primo bilancio successivo all’entrata in
vigore; procedure concorsuali per l’assunzione di personale, ex art. 19, comma 2,
etc.) occorre ribadire che, nel caso di società a maggioranza o integralmente
pubbliche (in disparte la richiamata concorrente disciplina prevista per le società
miste, affidatarie di contratti a seguito di gara c.d. a doppio oggetto, cfr. art. 17), gli
enti pubblici hanno l’obbligo di attuare, e formalizzare, misure e strumenti
coordinati di controllo (mediante stipula di appositi patti parasociali e/o
modificando clausole statutarie) atti ad esercitare un’influenza dominante sulla
società.
Quest’ultimo adempimento è strumentale, per esempio, anche ai fini
dell’integrazione del c.d. “controllo analogo congiunto”, che consente un nuovo
affidamento diretto (cfr. art. 2 e 16 del d.lgs. n. 175 del 2016 e art. 5 d.lgs. n. 50 del
2016) da parte di un socio di minoranza (nella ricorrenza dei presupposti messi in
evidenza dalla magistratura amministrativa, per esempio Cons. Stato, sentenze n.
3554/2017 e n. 182/2018).
In difetto, infatti, alla scadenza del rapporto contrattuale,
non potendo procedersi ad un legittimo affidamento diretto, deve essere revocata in dubbio anche la legittimità della detenzione della partecipazione societaria (ai sensi
dell’art. 4), potendo quest’ultima non rivelarsi più strettamente inerente alla
missione istituzionale degli enti soci (come messo in evidenza anche dal Consiglio
di Stato, nella citata sentenza n. 578/2019), oltre che generatrice di potenziali
impropri costi (o rischi, per esempio a titolo di fondo perdite, ex art. 21 TUSP) in
costanza, invece, di un servizio da affidare a terzi previa gara o da gestire
internamente.
Allo stesso modo, la necessità di adeguate modalità di controllo congiunto
formalizzato è strumentale all’effettiva vigilanza sull’attività espletata dalla società,
nonché sul rispetto, da parte di quest’ultima, delle norme dettate dal TUSP, che
prescrivono l’attribuzione di specifici obiettivi di contenimento dei costi di
funzionamento e del personale (cfr. art. 19 d.lgs. n. 175 del 2016), con conseguenti
profili di responsabilità in caso di omissione.
In maniera similare, l’adozione di
effettivi strumenti di controllo da parte dei plurimi enti pubblici soci risulta
prodromico all’individuazione di adeguati rimedi ad eventuali crisi aziendali (cfr.
art. 14, commi 4 e 5).
Infine, la formalizzazione, da parte degli enti soci, di strumenti di controllo
sulle società, anche pluripartecipate, è funzionale, nel caso degli enti locali (che
costituiscono la platea numericamente più rilevante, all’interno delle pubbliche
amministrazioni, di detentori di partecipazioni societarie), alla strutturazione, ai
sensi degli artt. 147 e 147-quater del d.lgs. n. 267 del 2000, delle procedure di controllo
interno sulle società (non quotate), prescrizione rafforzata, in caso di verifica di
assenza o inadeguatezza, da parte delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei
conti, da un’ipotesi di responsabilità amministrativa di tipo sanzionatorio (cfr. art.
148, commi 1 e 4, d.lgs. n. 267 del 2000).
PQM
le Sezioni riunite in sede di controllo, in riscontro alla richiesta di pronunciamento
di orientamento generale, avanzata della Sezione regionale di controllo per l’Umbria con deliberazione n. 57/2019/PAR, ritengono che sia sufficiente, ai fini
dell’integrazione della fattispecie delle “società a controllo pubblico”, rilevante quale
ambito di applicazione, soggettivo o oggettivo, di alcune disposizioni del d.lgs. n.
175 del 2016, che una o più amministrazioni pubbliche dispongano, in assemblea
ordinaria, dei voti previsti dall’art. 2359 del codice civile.
I RELATORI IL PRESIDENTE
Francesco Targia Angelo Buscema
Donato Centrone