Silvio è l'alibi dei giudici per salvare i loro interessi
Blog di Fausto Carioti
Il succo del messaggio che manda in queste ore l’Associazione nazionale magistrati, sindacato unico delle toghe, è chiaro: finché a palazzo Chigi ci sarà Silvio Berlusconi sarà impossibile riformare la giustizia italiana. In altre parole, la presenza di un premier in guerra perenne con la magistratura - inutile chiedersi chi abbia iniziato per primo: ognuno si è già fatto la sua idea - rappresenta un alibi fantastico per tutti quei magistrati che non hanno alcuna voglia di migliorare le cose e difendono lo sfascio del sistema e i loro privilegi.
E sì che ce ne vuole di coraggio per difendere un sistema in cui i magistrati sono giudicati da un organismo, il Csm, composto da loro colleghi che riescono a riabilitare e promuovere il giudice sorpreso a fare una fellatio a un minorenne nei bagni di un cinema (storia vera, raccontata nel libro di Stefano Livadiotti “Magistrati, l’ultracasta”).
Un sistema nel quale la toga che si scorda di tirare fuori dal carcere gli indagati, anziché essere punita, viene elogiata.
Le 125mila utenze telefoniche messe sotto controllo (e se ognuna di queste contatta 20 persone si ha un totale di 2,5 milioni di intercettati), per un costo annuale di 220 milioni di euro, e gli oltre tre milioni di procedimenti penali pendenti, non trovano analogie con il resto del mondo civile.
Occorre coraggio anche per dire che sarebbe un attentato alla democrazia separare le carriere dei magistrati da quelle dei pubblici accusatori, rendendo il sistema italiano simile a quello di Spagna, Austria, Svezia, Danimarca e Norvegia. Oppure che piomberemmo nella barbarie se dovesse essere abolita l’obbligatorietà dell’azione penale, quando questa non esiste in Paesi come Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti.
Eppure proprio questi sono i ragionamenti che arrivano dal fronte della magistratura, fermo con l’orologio al 1994.
Concetti ribaditi ieri dal presidente dell’Anm, Luca Palamara: «La separazione delle carriere, la riforma del Csm, la riforma dell’obbligatorietà dell’azione penale, la legge sulle intercettazioni» sono norme «punitive».
E contro di esse si prepara a scioperare l’intera categoria.
La scusa è che il problema è altrove, soprattutto nei soldi e nelle strutture, che scarseggerebbero per colpa del governo, spiegando così i ritardi e le inefficienze dei tribunali italiani.
Ma è una tesi che non sta in piedi.
La Commissione per l’efficienza della giustizia, un organismo del Consiglio europeo, ha documentato che l’Italia dispone di 1.292 tribunali. Contro i 595 dell’Inghilterra, i 773 della Francia e i 1.136 della Germania.
Abbiamo 13,7 giudici ogni centomila abitanti: la Francia ne ha 11,9, la Spagna 10,1 e l’Inghilterra 7. Ognuno dei magistrati italiani può contare su 4,2 addetti: i loro colleghi francesi ne hanno meno della metà.
Le strutture, dunque, ci sono. E ci sono anche i soldi: l’Italia stanza per la giustizia lo 0,26% del prodotto interno lordo, più - ad esempio - della Francia, che si limita allo 0,19%.
Ogni italiano spende 45 euro l’anno solo per far funzionare i tribunali: 7 euro in più rispetto ai francesi, 17 in più rispetto agli inglesi.
Nessuno, tra i rappresentanti della magistratura, sembra avere voglia di sedersi al tavolo per discutere di questi numeri e delle cose da fare. Il semplice fatto che simili proposte arrivino da Berlusconi basta a demonizzarle e a giustificare ogni gesto per impedire che divengano legge. Ma mandare a casa l’agguerrito leader del PdL per sostituirlo con un premier di sinistra, sicuramente più gradito a buona parte della magistratura, non servirebbe a nulla. La storia dei governi italiani di centrosinistra dice che questi non hanno né la voglia né la forza di intaccare quelli che i magistrati ritengono essere loro privilegi indiscutibili, come il diritto ad avere carriere unificate o a essere giudicati dal più compiacente dei tribunali. La morale della storia è evidente: o le riforme le fa - pur con tutti i suoi difetti - Berlusconi in questa legislatura, sfidando Anm e opposizione grazie ai numeri di cui dispone in Parlamento e nel Paese, oppure rimarranno lettera morta per chissà quanti anni.
Che dire?
Come ripeto sempre: " Facciamo cantare i numeri"
E quando i numeri cantano........la verità viene sempre a galla!
Solo che ci vuole gente con il coraggio.....e con le @@
sabato 7 novembre 2009
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