giovedì 15 aprile 2010

Punti di vista

Adesso Fini inauguri la "fase due", ma senza rinnegare le sue posizioni
Un passo indietro?
No, due in avanti

di Alessandro Campi

Per la politica, la malattia mortale per eccellenza, segno di un inguaribile infantilismo ideologico, era una volta l’estremismo. Oggi è il fighettismo. Ma la differenza tra i due termini, a conti fatti, non è di sostanza, è solo linguistica. Il fenomeno che denotano, al netto del vertiginoso cambio d’orizzonte storico intervenuto dai tempi della Seconda Internazionale, è in fondo lo stesso. Il fighettismo, beninteso, non è, secondo vulgata, una postura intellettuale snob o uno stile d’abbigliamento frivolo e fintamente elegante, ma – spiega Lucia Annunziata nella sua lettera aperta a Gianfranco Fini apparsa ieri sul Riformista – uno “stato dell’animo e della mente” che spinge chi ne sia afflitto ad una sorta di “diniego permanente”, al felice rifiuto dell’evidenza. Il fighetto di destra criticato dall’Annunziata, come l’estremista di sinistra criticato da Lenin, è colui che gira a vuoto intorno a se stesso, che sfugge il confronto con la dura realtà della politica, che si compiace delle proprie ricette e formule senza chiedersi quanto sia funzionali agli obiettivi della lotta, che nel caso di quella politica si riassumono in una parola soltanto: potere.

Il Fini mutante o convertito è stato, ammette Annunziata, una bella novità nel panorama fiacco della politica italiana degli ultimi due-tre anni. Non si vedeva da tempo, forse non s’era vista mai, almeno nell’Italia repubblicana, una destra politica così disinvolta e a suo agio con il mondo, capace di innovarsi accettando il prezzo che ogni innovazione richiede, che da marginale e reietta che era ha finito per assumere un profilo rigorosamente istituzionale, in linea con quel senso dello Stato che in passato essa aveva sempre difeso ma senza che da ciò ne derivassero attestati di simpatia o di merito. Fini, del suo nuovo ruolo di statista repubblicano, s’è molto compiaciuto, prendendolo assai sul serio. E con lui tutti coloro che con curiosità e sorpresa, anche e forse soprattutto a sinistra, ne hanno seguito le trasformazioni e i cambi di passo.

La nascita – sulle ceneri ormai ampiamente dissolte del neofascismo – di una destra repubblicana e laica, dialogante e senza più complessi atavici di inferiorità, in pace con se stessa e con la storia del proprio paese, è stata in effetti un progresso, a lungo atteso. E anche una speranza, nel senso che una destra simile, appena si fosse irrobustita elettoralmente almeno un po’, avrebbe potuto rappresentare – a vantaggio generale – la giusta alternativa al berlusconismo declinante e al leghismo trionfante.

Ma i buoni propositi sono nulla, dinnanzi al tribunale impietoso della storia. È dunque accaduto, secondo la brusca analisi della Annunziata, che questa destra imbellettata e civile, amabilmente intellettualista, da tutti coccolata e stimata, raffinata e persino divertente nel suo gioco di continue provocazioni, si sia trovata nuda e impotente, frustrata nelle sue ambizioni, dopo l’ultima tornata elettorale, che avrebbe dimostrato come i rapporti di forza, l’unica cosa che conti realmente in politica, siano ancora a tutto vantaggio del Cavaliere e delle sue truppe, vocianti ma leali.

Che fare, a questo punto? Girarsi i pollici e guardarsi allo specchio, maledicendo il mondo infame e il popolo bue, in una variante di destra dell’azionismo, altezzoso e sempre perdente? Oppure smetterla con il sussiego, ammettere la sconfitta, buttare a mare i libri e le divagazioni sui territori dell’immaginario, per decidersi a fare politica sul serio, sporcandosi le mani? Fini vuole tornare ad essere un leader politico, ancora con qualche remota chance di successo, o ha deciso di chiudere la propria carriera come capo d’una amabile congrega di perdigiorno?

La mia idea, per rispondere alle serissime questioni poste dall’Annunziata, è che Fini abbia davvero bisogno, anche alla luce di ciò che è successo alle ultime elezioni regionali, di inaugurare quel che più volte ho definito la “fase due” o “seconda” del suo percorso politico-culturale. Ma senza che ciò implichi un suo ritorno al passato o un rinnegamento delle posizioni fin qui difese. Che è poi quello, come ben sa l’Annunziata, che quotidianamente gli chiedono i suoi ex-colonnelli: lascia perdere cittadinanza e diritti civili, torna a fare la faccia brutta e feroce, fatti almeno un po’ leghista e mezzo berlusconiano, e vedrai che la tua strada futura sarà in discesa.

Se si pensa che a qualcosa sia servito il suo lavoro di questi anni – non solo all’Italia, come generosamente pensano i suo estimatori, ma persino alla destra, anche se quest’ultima non sembra rendersene conto presa com’è da uno stato di permanente e incosciente euforia –, bisogna invece sperare che il suo progetto politico possa meglio articolarsi e svilupparsi, su nuovi fronti e lungo nuove direttrici, su temi e questioni rimasti sin qui nell’ombra o trascurati.

Bisogna insomma augurarsi che continui nella sua lenta “strategia del ragno”, fatta di crescenti relazioni e aperture, di continue stimolazioni critiche, necessarie come il pane in quest’Italia imbambolata e impaurita, cui però affiancare sempre più – su questo l’Annunziata ha ragione – proposte e proponimenti concretamente politici, che l’elettorato possa recepire per poi, quando sarà, giudicarli. La sua scommessa, giunti a questo punto, non consiste nel fare un passo indietro, nello smentire se stesso, ma nel farne due in avanti, dando ancora più corpo e sostanza alla sua battaglia.

Il finismo, questo lo hanno capito tutti, è altro dal berlusconismo e dal leghismo. Esprime l’idea di una destra diversa da quella attualmente sugli scudi: la destra delle regole e del senso delle istituzioni, dell’unità nazionale e dell’etica della responsabilità, del dovere e del merito, che i suoi avversari interni sfottono come vacua e ammalata di futuro, ma che a me pare antichissima e perenne, per non dire necessaria e concreta. Vasto e ambizioso programma per un uomo solo, per di più descritto come algido e incostante, come troppo propenso alle capriole ideologiche.

Può darsi, ma che senso avrebbe, per Fini, fermarsi proprio adesso, a causa di un risultato elettorale che lo avrebbe momentaneamente sconfessato? Prima o poi, questo è certo, l’incantesimo che avvolge l’Italia finirà e si andrà ad un grandioso rimescolamento delle carte e dei rapporti di forza. Svanirà l’euforia dei vincitori che non ammettono critiche o dubbi. Si libereranno energie sin qui rimaste compresse. E quelle che oggi appaiono scelte e posizioni lasche, da irridere o biasimare, forse acquisteranno un diverso spessore politico, forse diverranno persino egemoni e vincenti nelle urne. Magari ad avvantaggiarsene non sarà nemmeno Fini, che nel frattempo, chissà, avrà scelto di darsi definitivamente alle immersioni.

Ma resteranno comunque – per lui e per chi lo ha affiancato – la soddisfazione e il merito d’aver immaginato anzitempo un’altra destra, un’altra politica e un’altra Italia, che magari saranno realizzate da chi, quando il tempo verrà, ne avrà la forza e la volontà. E dunque altro che un’inutile ballata intellettuale, come sostiene l’Annunziata, verrà considerata questa stagione di pensiero libero e ribelle.

Pubblicato sul Riformista del 14 aprile 2010



Mha..... punti di vista.
Io vedo quello che ha lasciato dietro di se in tanti anni. LA POLITICA COME FAMILISMO.

Mogli, sorelle, segretarie in lista. Inciuci sulle liste con premio finale all'inciucista! Lui immagina un'altra destra, un'altra Italia, un'altra politica; intanto gli stracci li ha lasciati a noi. E che stracci !!!!!!!!

E vedrete...... non mancherà il repechage di qualche abbonato alla sconfitta.

Se questo è il rinnovamento......se questa è la nuova frontiera...... se questo è " residuo" che ha lasciato, per carità! Ci basta !

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